C’era una volta la «quarta mafia»

Oibò, la quarta mafia foggiana non si attaglia più alla narrazione politica nostrana. Sì, certo il terrore seminato dai clan criminali del Tavoliere non va dimenticato, le infiltrazioni negli atti amministrativi sono documentate dagli ispettori ministeriali. Il marchio resta. Ma da qualche tempo la macchia indelebile poggiata sul cielo plumbeo della provincia di Foggia va un tantino scolorendosi. E non c’entra tanto il silenzio delle pallottole dei clan locali (se persino il boss Raduano si pente…). No, questione di opportunità, se vogliamo anche di una certa cautela: trapela adesso un certo imbarazzo rispetto a quanto abbiamo fin qui ascoltato con ripetitivo afflato moralistico negli ultimi anni. Con tutto quel che accade dall’altra parte dell’Ofanto… 

Sì, d’accordo: la magistratura barese si è mossa tardi. E gli arresti per presunto voto di scambio della coppia Olivieri-Lorusso (lui ex consigliere regionale, lei consigliera comunale di centrosinistra), i 130 tra affiliati ai clan, contigui, figli e parenti di boss finiti in manette per presunta associazione di tipo mafioso, estorsione, presunta ingerenza politico-elettorale, i domiciliari per «Sandrino» compagno dell’assessora regionale Maurodinoia (dimessasi) indagata per corruzione elettorale (presunta), e ancora l’arresto dei fratelli Pisicchio, Enzo e Alfonso, indagati per presunta corruzione, truffa e appalto pilotato al Comune di Bari. Tutte indagini scattate da tempo. La procura «li aveva chiesti un anno fa». La carenza di magistrati al tribunale di Bari, il solito arretrato che ingolfa gli uffici giudiziari hanno prodotto questo ritardo fino a far scoppiare il polverone giusto a ridosso della campagna elettorale barese. 

Un infortunio, non c’è altro da aggiungere… Fosse accaduto un anno fa, forse a quest’ora sarebbe già passato tutto in cavalleria. «E invece adesso dobbiamo sopportare tutto questo, attendere che la magistratura faccia giustamente il suo corso…», sospira il presidente della Regione, Michele Emiliano, a Foggia per l’inaugurazione del nuovo centro di continuità territoriale (l’ex guardia medica). Sì, ma intanto il «ritardo» dei magistrati ha prodotto una reazione a catena. E chissà se il governo si sarebbe mai spinto a tanto, a inviare la commissione di accesso agli atti nel comune di Bari, per dire… Quella stessa commissione che adesso potrebbe suggerire al ministro Piantedosi di commissariare sindaco e nuova giunta che venissero eletti dal voto dell’8-9 giugno (la verifica, tre mesi, si chiude il 25 giugno, salvo proroga). 

Ma figurarsi, nessuna paura dalle inchieste. Tutti con la schiena dritta. Perchè non ci sono segni di inquinamento negli atti amministrativi, nessun coinvolgimento del comune di Bari e della Regione nelle inchieste. Da certe intercettazioni schizzerà forse un po’ di fango, magari qualche foto del governatore con alcuni dei soggetti coinvolti nelle indagini. Ma questo che vuol dire?  Chi fa politica incontra tanta gente, non si fanno i processi alle intenzioni. Eppure, al fondo di tutto, la sensazione è che su questa specie di “Bari Connection” si propenda adesso a utilizzare toni da commedia all’italiana come se si volesse distogliere il cittadino dalla cruda realtà di una politica sempre più giro d’affari non sempre confessabili e che dunque solo per questo ci vorrebbe preliminarmente da parte di tutti gli attori in campo, specie di quanti ricoprono incarichi apicali, un sano mea culpa. 

Ma tant’è. A Foggia l’etichetta «quarta mafia» venne affibbiata senza pietà ed ha lasciato strascichi pesantissimi sul suo cammino di riscatto. Non fu tenera la Regione all’epoca, ma era una giunta di centrodestra che ammainava bandiera: sarà questa la ragione di tanta rigidezza. Emiliano era animato da spirito consolatorio, ai sudditi distribuiva la promessa: «Foggia ce la farà». Oggi non c’è consolazione per i baresi storditi dalla furia delle inchieste, ma solo la certezza che la nottata passerà. Proprio vero, quando si parla di mafia il foggiano non può mai sentirsi figlio di un dio minore.  

 

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