Rolando calciatore del Foggia, «detto Ronaldo» come quello vero, se volesse con la semplice trasposizione di due consonanti potrebbe candidarsi alle prossime europee passando quasi inosserato. E il mitico Giovanni «detto Zeman», conosciuto ai più con quel nomignolo affibbiatogli chissà perchè, potrebbe tentare il colpaccio alla prossima bizzarra campagna elettorale per un seggio al parlamento di Bruxelles/Strasburgo. Un po’ come fece a Roma, qualche anno fa, tal Marchioni «detto Totti», che si portò a casa 268 preferenze che furono determinanti per la sua lista alle amministrative. Da quel che si racconta, proprio nella Capitale è abbastanza diffusa l’abitudine di appellarsi alle elezioni con i nomi dei giocatori romanisti. O utilizzando quello del proprio coniuge più famoso: come ha fatto Sandra Lonardo in Mastella che appunto si presenterà al voto con le effigie del marito ex ministro e sindaco di Benevento.
Così non deve essere sembrata proprio una novità ai creativi della nostra presidente del Consiglio, suggerirle la trovata del “chiamatemi Giorgia” «detta Giorgia» sulla scheda elettorale alle europee dov’è appunto capolista in tutte le circoscrizioni. I giuristi storcono un po’ il naso di fronte a questo profluvio di “alias”, sorta di prestanome utili solo alla bisogna: e se in lista ci fosse un’altra “Giorgia” che reclamasse gli stessi voti della premier? Stiamo parlando di casi limite, naturalmente, ma che sarebbe divertente in fondo provocare: immaginatevi cosa accadrebbe se spuntasse un Pinco Pallo qualunque «detto Mario Draghi» a fare il guastafeste in lista. Sarebbe uno scherzo da buontemponi, d’accordo, ma è forse quello che si merita certa politica dopo le infinite provocazioni a cui sottopongono l’elettorato: dai Vannacci «detto generale Vannacci» all’ondata degli pseudonimi. Un fiume in piena di infinite e fittizie rivendicazioni sarebbe la risposta giusta per riportare tutti alla ragione.
La trovata dei “nomi rivisitati” in ditta, del resto, non è nuova, anzi si può dire che ai tempi della vecchia politica ce ne accorgevamo solo quando spuntavano i manifesti elettorali. Così scoprimmo che Marco Pannella era in realtà «Giacinto detto Marco» sulla scheda elettorale, ma nessuno si è mai posto il problema che non fosse proprio lui. Anche Bettino Craxi, abituato ad armeggiare con i nomi (“Ghino di Tacco” la sua firma celebre sull’Avanti”) pensò di accorciare il suo “Benedetto” o “Benedettino” che poteva risultare persino troppo buonista per il piglio autoritario con il quale era solito presentarsi in publico.
Ma anche in quelle espressioni la vecchia politica, tanto vituperata e rinnegata ai giorni nostri, riusciva ad ammantare tali virtuosismi di dignità e senso della misura, così agli elettori non passava nemmeno per la testa l’idea di sentirsi ingannati da tali procedure, non almeno da certi trucchetti. Adesso invece il dubbio viene eccome, se la signora Mastella per farsi riconoscere deve apporre il nome del marito e se la presidente del Consiglio intende fare del suo nome di battesimo un brand e tagliare di netto quel cognome anonimo, a dire il vero, un po’ troppo popolano per salire ai vertici del palazzo. Nulla di tutto questo avrà pensato la povera Elly Schlein, la prima ad aver suggerito agli elettori di farsi riconoscere come semplicemente Elly dato il cognome con po’ troppe consonanti (e in cabina può succedere di sbagliarsi). Chissà se anche stavolta funzionerà.