Sono una vergogna i ghetti dei migranti, corrucciamo lo sguardo e ne siamo sinceramente dispiaciuti. Ma poi giriamo la testa dall’altra parte: in fondo, siamo abituati a tenerli là, agli angoli remoti delle nostre campagne. Adesso forse scompariranno. Sarà un’azione ciclopica: la Capitanata ne è punteggiata in ogni angolo di questa immensa provincia. Agglomerati illegali, abitati nella clandestinità da un’umanità invisibile. Cinquemila, forse 10mila persone o ancor di più: vivono stabilmente qui da noi. Senza diritti, una casa, un’identità.
Sono sporchi, indecenti, impresentabili: eppure continuiamo a tollerarli. Ci fanno comodo, assicurano all’agricoltura migliaia di braccia che lavorano per noi a costi ridicoli per le aziende. Fanno i mestieri più umili: raccolgono i pomodori, tagliano l’uva, qualcuno si è specializzato nella guida del trattore e nella potatura.
Adesso, forse, verrà messo finalmente un punto fermo: il governo ha insediato un commissario, la Prefettura di Foggia lavora da un anno a un piano che finora non aveva trovato spunti per partire. Ci sono i soldi, 114 milioni di euro, stanziati dall’Unione europea. Ma non sono tutto. La domanda principale è un’altra: come utilizzarli? Serviranno case per questi lavoratori, d’accordo, ma che tipo di abitazioni. E, soprattutto: con quale idea d’insieme, quale pianificazione che tenga conto delle etnie, usanze, abitudini di questi popoli (l’immenso serbatoio degli africani, ma ci sono anche romeni, bulgari, asiatici) che tra loro non si integrano. Forse ancora non lo sappiamo.
E allora fare un salto a borgo Mezzanone, il più grande ghetto di questa provincia, può essere istruttivo: di qua i ghanesi, di là i nigeriani. Vivono da separati in casa. E come pensiamo adesso di farli convivere in un’area residenziale comune?
Stiamo vivendo una specie di ritorno al passato, ma il nostro mondo nel frattempo si è allargato. Alla fine degli anni Trenta il governo fascista decide di avvicinare i contadini alle città per migliorarne le condizioni di vita. Ma consapevole che il passaggio fra la campagna e la città sarebbe stato un salto troppo lungo (e Foggia a quel tempo era perlopiù la città dei “terrazzani”, raccoglitori di verdure), si pensò che le borgate rurali, sorte a corolla intorno al capoluogo, sarebbero state un livello intermedio, camera di compensazione a pochi chilometri dalla città per attenuare il passaggio esistenziale dei contadini verso la città. Insediamenti tuttora esistenti (borgo La Rocca, Segezia, Incoronata eccetera), popolati dalle “genti di mezzo” anche se lo scopo non fu compiutamente raggiunto: l’Italia entrò in guerra nel 1940, il concetto di borgata e di trasferimento delle masse rurali, nel disegno del governo fascista, fu ampiamente diluito ridimensionato di lì a pochi anni dall’Italia repubblicana che ne seguì. E le borgate, ormai svuotate di significato, divennero per alcuni anni perfino un confino per carcerati.
Ma la portata di quel processo di trasposizione, buono o sbagliato che fosse, indicò almeno un’idea di pianificazione su cui intervenire. Oggi cosa si è pensato per cancellare la vergogna dei ghetti? Ancora non lo sappiamo.
Con la visita a Foggia del prefetto Maurizio Falco, commissario straordinario del governo per il superamento degli insediamenti abusivi, si è aperto in Prefettura un varco importante per assegnare un futuro meno occasionale allo sviluppo della ruralità in Capitanata e al definitivo riconoscimento del lavoro dei migranti, ancor oggi molti dei quali senza nemmeno il permesso di soggiorno.
Se n’è accorta tre anni fa l’Unione europea di questo sfacelo, paesoni da 1500/2000 anime aggrovigliate nelle baracche di legno, cartone e lamiera nate alla rinfusa sulla vecchia pista militare di borgo Mezzanone o di Torretta Antonacci (San Severo), ma anche a Orta Nova, borgo Tressanti (Cerignola) e in mille altri luoghi. Popoli sperduti e degradati nella loro condizione umana, senza servizi igienici e nell’abbandono più totale. I sindacati di Cgil, Cisl e Uil che hanno partecipato al vertice si dicono «fiduciosi», la svolta è nei fatti. Il commissario adesso vorrà «ascoltare il territorio», secondo il resoconto delle sigle sindacali, e chiederà «flessibilità nell’utilizzo delle ingenti risorse». Purché non si perda altro tempo.
—- Nella foto, Torretta Antonacci (San Severo)