L’elezione di Donald Trump è un po’ come la Brexit a stelle e strisce, l’affermazione di un’America profonda e identitaria proprio come fu con il voto del 2016 quando il Regno Unito sancì l’uscita dall’Unione europea ottenendo i maggiori consensi tra gli elettori conservatori. Il popolo di Trump ha divorato la stanca e annoiata middle-class democratica, quella che rifà il verso a star come George Clooney e che popola le ricche metropoli della East-Cost. E’ il sogno americano che va in frantumi, così come s’infrange una certa idea della più grande democrazia al mondo che, vista dall’Europa e dalla nostra italietta, ha sempre rappresentato il modello invincibile di sovranità e modernismo. Al contrario il voto che riporta Trump alla presidenza, quattro anni dopo, solletica gli appetiti più viscerali diventando quasi una sorta di riabilitazione dell’oltraggio di Capitol Hill quando i sostenitori del magnate pluricondannato e pregiudicato d’America invasero il Parlamento gridando ai brogli elettorali dopo l’elezione di Biden (2021).
Va detto tuttavia che la schiacciante affermazione del tycoon (5 milioni di voti in più di Kamala Harris) non segna soltanto un confine profondo tra il mondo progressista di un illuminismo da salotto e i “duri e puri” dell’America interna che tengono il fucile sul pik-up e non si perdono in troppi convenevoli. A loro Trump ha parlato dritto al cuore, sono stati i suoi grandi elettori che lo portarono alla Casa bianca anche nel 2016. Ma questa volta Trump ha sfondato pure nel campo progressista, lo conferma il flebile strascico di voti per i democratici su temi assolutamente fondanti della campagna elettorale di Harris come ad esempio il diritto all’aborto.
Si diceva che la forza delle donne nell’urna stavolta avrebbe trionfato. Ebbene non se ne sono percepiti nemmeno i segnali, anzi (in attesa di dati più scorporati) rispetto ai voti ottenuti da Hillary Clinton, battuta da Trump nel 2016, Kamala Harris ha perso molto più nettamente e in tutte le sette contee in bilico tra cui la strategica Pennsylvania.
Ha prevalso Trump perchè dall’altra parte c’era ben poco da scommettere. Diciamola tutta, la vicepresidente che ai comizi sfoggiava sorrisi di circostanza, era destinata a finire il suo mandato ed a sparire. E invece si è ritrovata scaraventata al centro della scena dopo i vuoti di memoria del presidente in carica Joe Biden che aveva già perso il suo confronto con il ciclone Trump prima di cominciare. Votare Harris avrebbe dovuto essere un inganno mascherato finalizzato solo a scongiurare il pericolo imminente, una strategia suicida che non tutti gli elettori di fede democratica hanno avallato e che avrebbero potuto tollerare fin dentro le urne.
Qualche considerazione a margine del risultato di queste elezioni anche sul flop dei sondaggi, che ancora una volta su Trump non ci hanno preso. A conferma di come ci sia ben poco di scientifico in queste rilevazioni se prevale lo schermo del pregiudizio, come a Trump è capitato per la seconda volta dopo il voto a “sorpresa” del 2016. Le oligarchie e diverse cancellerie del mondo (a parte forse Russia e Israele) non volevano il 78enne neopresidente e l’informazione in Europa sembrava su queste sensazioni virtualmente schiacciata se fino all’ultimo Kamala Harris veniva data alla pari con Trump, fino al presunto exploit annunciato in Ohio, due giorni prima del voto, in favore della vicepresidente uscente rivelatosi però soltanto un ingenuo bluff, ad uso e consumo solo di una certa parte dell’establishment che voleva sentirselo dire.
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Donald Trump fotografato da Newsweek