Alfred Nakache e Victor Frankl, sapevano come si fa. Loro ce la fecero a sopravvivere ai campi di concentramento, riuscirono a mettere in scacco Auschwitz e i suoi orrori. La storia del campione di nuoto francese e dello psicologo austriaco, portata a teatro da Raoul Bova diventa un pretesto per raccontare cosa c’è dietro oggi nei nostri campi di concentramento dell’anima. Suggeriscono l’idea che si può farcela ad andare oltre l’orrore, oltre l’isolamento psicologico delle nostre sventure quotidiane, per trovare un punto di svolta.
Non c’è solo la Shoah in questo racconto, anzi forse il dramma dell’antisemitismo qui è solo sfumato. Ma fuori dal palcoscenico, nella vita reale, è ancora tempo di metter mano alle resistenze del passato per vincerla ancora la sfida della caccia all’ebreo. Viviamo tempi di ritorno inquietanti: il murale di Liliana Segre imbrattato a Milano, i due turisti israeliani non accettati in un albergo altoatesino e gli innumerevoli altri episodi che suggeriscono un ritorno ai tempi più cupi del secolo scorso, ci inducono a immaginare la storia del nuotatore di successo e dello psicologo austriaco come un sostegno provvidenziale. Non solo riuscirono a scampare alle torture dei campi di concentramento, una volta finita la guerra tornarono a fare quello che esattamente facevano prima di cadere nella rete della ferocia nazista. E Nakache, che vide morire moglie e figlia in quel lager, a prendersi la sua vittoria più personale tornando a vincere le gare di nuoto, a confermarsi campione dello sport.
«Non volevamo raccontare una storia sulla Shoah, ma piuttosto concentrarci sulle violenze di tutti i giorni: quella contro le donne, il bullismo, tutto ciò che è privazione della libertà e della perdita della dignità umana», afferma Raoul Bova alla presentazione del suo “Nuotatore di Auschwitz” andato in scena in prima nazionale al teatro del Fuoco di Foggia.
Sembrerà strano, ma in fondo è un testo sull’ottimismo. Sulla voglia cioè di sfangarla comunque – contro la ferocia, la sopraffazione, l’inganno – nonostante tutt’intorno siamo circondati di episodi che ci riportano al triste prologo di una storia maledetta e che credevamo ormai sopita tanto tempo fa. C’è ancora spazio per l’ottimismo in questo nostro mondo che guarda a una ripresa degli armamenti? «Il nostro spettacolo si rifà alle teorie esistenzialiste, ognuno di noi viene sottoposto alle prove che può superare. Che poi non è detto che le superi, ma questo è un altro discorso», rileva il regista Luca De Bei.
Nakache e Frankl, magari grazie anche a questo monologo, diventeranno eroi modernissimi. Simbolo di riscatto e di emancipazione dal Male supremo che seminò nel mondo milioni di vittime innocenti e una carneficina senza fine a giudicare dai morti che contiamo anche oggi nell’eterno groviglio che è il conflitto israelo-palestinese. Ma è un passaggio della storia che si rinnova e che deve alimentarsi di esempi positivi per sopravvivere alle sue rovine e provare ancora a crederci. Il “Nuotatore” di Bova sulla scena è un inno alla volontà della ragione, l’opportunità che abbiamo di riscattarci: basta volerlo. «Nakache torna a gareggiare ad a vincere, Frankl fonda la logopedia, è il fautore del pensiero positivo, proattivo – dice l’attore romano – una strategia partita quando entrambi erano ancora reclusi nei campi di concentramento, che li ha aiutati a superare le difficoltà dell’esistenza».
Ci sono riusciti in condizioni di vita disumane, sotto il tallone del nemico, guardati a vista e umiliati fin dentro la propria dignità umana: possiamo farcela anche noi.
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Raoul Bova (a sinistra) con il regista Luca De Bei alla presentazione della prima al teatro del Fuoco di Foggia