La riforma della giustizia e le colpe dei magistrati

Dove sta scritto che «i cittadini» vogliano la riforma della giustizia? «Fa parte del programma, gli elettori ci hanno votato anche per questo», risponde genericamente il governo mentre il Guardasigilli Nordio, tra i pochi a guardare in faccia i propri interlocutori durante i question-time in Parlamento, chiarisce nel tecnico cosa si teme di più: «Il pubblico ministero non finirà mai sotto il controllo dell’esecutivo». D’accordo, può darsi che l’impronta democratica e liberista del nostro ordinamento non prenda derive incontrollabili. 

Ma di quali cittadini parliamo? Se ci si riferisce al programma di governo, votato solo dagli elettori di centrodestra, per onestà di vedute occorre riferirsi a quel 26% che ha portato al governo la coalizione di Giorgia Meloni. E tutti gli altri, mettendoci dentro pure il 36% di astenuti? Siamo in presenza di una riforma costituzionale, i due maggiori poteri dello Stato (legislativo ed esecutivo) che riformano quello giudiziario. Possibile che si possa andare avanti a colpi di maggioranza?

Possibile, se il decisionismo delle destre non risponde esattamente a certo laissez faire di qualche governo di centrosinistra, ad esempio. E l’ansia da prestazione a volte rischia di fare brutti scherzi. Perchè, a volerla dire tutta, questa riforma ha gambe lunghe, proviene dai rimbrotti dell’ex magistrato Nordio che certe cose le scriveva da privato cittadino, per decenni columnist dei quotidiani di destra.

A proposito di brutti scherzi, pensiamo al sorteggio per la nomina dei membri togati del Consiglio superiore della magistratura (Csm), una delle misure previste dalla riforma: si tratta di un’irridente prova di forza del governo destinata a sparigliare il campo delle inguardabili correnti, simili a fazioni politiche per non dire partitiche, in cui è frammentata oggi la nostra magistratura. L’organo di autogoverno dei magistrati diviso in poltrone, un’indegna gazzarra di nomine e di sgarri tra chi è chiamato a governare l’alta funzione della giustizia ed a coltivarne il senso di equità in questo paese. Inaccettabile tutto questo per il cittadino, definizione questa volta intesa nel senso più generale del termine. Si è esagerato, la magistratura sana dovrebbe fare mea culpa senza star lì a tenere a bada il fortino. 

E invece cosa ti tirano fuori alcuni nostri magistrati? La trovata del segretario nazionale di Area (una delle correnti), che ha consegnato i dadi del Gioco dell’Oca nelle mani del vice ministro Sisto («la giustizia giocatevela così») non aiuta le toghe a venir fuori dai loro paradossi. E rafforza la tesi del governo, sordidamente deciso in verità a delegittimare una magistratura faziosa e sconclusionata, che rischia di perdere il controllo della situazione per manifesta incapacità di saper cogliere il senso più profondo dello scossone.

Sarà pure un ragionamento di stampo berlusconiano, quello del governo: dopotutto l’aspirazione di tenere le toghe sotto il tacco 10 della premier è forte. Ma se la magistratura sciopera come farebbero i metalmeccanici davanti a Mirafiori (con tutto il rispetto…), oppure uscendo dall’aula quando parla il ministro, i dadi di Zaccaro finiranno per simboleggiare la loro nemesi. 

Il ministro Carlo Nordio in Parlamento (Ag. Italpress)

 

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