Più semplici e diretti, ma debole è il pensiero

Semplificare, semplificare… la mozione d’ordine di questi tempi liquidi. Si riducono le distanze, come anche la volontà di provare a capire. Riflettere? Che sarà mai? Dipenderà dalla velocità dei social che ci rendono tutti più fluidi, d’accordo. Ma c’è dell’altro. Non c’è più il “pensiero debole”, semmai il debole pensiero, che non presuppone interpretazioni filosofiche e si diluisce appunto in quell’aggettivo: al bando la retorica, i sottintesi, il ragionamento. Prenderla alla lontana non è consigliabile, significherebbe ritrovarsi a parlare davanti al muro. Chi un tempo ascoltava pur disapprovando, leggeva per documentarsi e poi rispondere a tono, ha semplicemente gettato la spugna. Vomitiamo addosso al nostro interlocutore il nostro disprezzo e chissenefrega. 

Siamo rabbiosi e anche più apatici. La polemica monta solo se vale il suo tornaconto. Così come la dialettica costruttiva, il dibattito: parole morte nei talk-show dove vige l’invettiva come arma di difesa, così l’intervistatore si rifugia nel dialogo vis-a-vis con l’intervistato. Ci complimentiamo a piene mani con chi richiede un “like” senza capirci granché e avanti un altro. Siamo ossessionati dai nostri profili, perchè postare significa esistere.  Abbiamo tutto a portata di mano, con la tecnologia di cui disponiamo siamo potenzialmente in grado di raggiungere chiunque, in qualunque momento. Dovremmo sentirci più liberi e indipendenti e invece ci sentiamo più soli, ingabbiati in una melassa di convenzioni e di contorsionismi che non ci piacciono, ma non possiamo farne a meno . 

Dobbiamo apparire semplici, comprensibili, chiari, consideriamo una virtù essere  terra terra.  E qui non c’entra alcun dovere di trasparenza, come un tempo ci veniva detto sull’onda della retorica post-sovietica della “Glasnost” di Gorbaciov.

Così semplici che all’ultimo Sanremo si è presentato davanti a noi il case-history di Simona Brancale, ottima e un tempo sofisticata musicista di grandi doti musicali, da qualche tempo convertita al trash con la hit di successo Baccalà. Superato l’esperimento, sul palco sanremese la cantante pugliese ha presentato un brano in linea con il precedente, “Anema e core”, segnata nel ritornello dal dialetto che fa il verso alle vajasse di quartiere (“S’adda vedè, s’adda vedè”). Che ne è stato della Brancale di un tempo? Giusto dieci anni fa la cantante barese si esibiva al festival su sofisticate melodie jazz, un brano che per riascoltarlo si può trovare solo su YouTube. 

Ma oggi le convenzioni e una certa incultura hanno abbassato l’asticella. Sarà pure il mercato bellezza… e forse non solo quello. 

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Serena Brancale sul palco di Sanremo 

 

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