Il Tavoliere come la Borgogna: che spot sarebbe

Quanto è buono il grano foggiano? Tanto quanto saprà riuscire a valorizzare la pasta che vediamo tutti i giorni in tavola, il più alto simbolo del made in Italy nel mondo. Mica un punto di partenza da niente… Ma finché il sistema produttivo locale continuerà a piangersi addosso, i messaggi da “preavviso di sventura” continueranno a dominare la scena ed a deprimere i consumatori sempre più inclini a dare ascolto alle cattive notizie. 

E’ questo dunque il modo di rianimare la cerealicoltura del bacino più importante d’Europa? Servirebbero piuttosto strategie di marketing per promuovere le qualità del frumento più idoneo per fare la pasta italiana, basterebbe soltanto questo elemento – che non è affatto un dettaglio – per lanciare una campagna come si deve. E invece gli agricoltori continuano ad impiccarsi al prezzo «troppo basso» e non c’è dubbio che sia insufficiente a rientrare nei costi di produzione. Ma va così da decenni, possibile che nessuno finora non abbia pensato a costruire una narrazione diversa per il Granaio d’Italia? 

Ebbene il claim più efficace l’abbiamo trovato. Ora dovrebbe pensarci qualche creativo a metterci sotto tutto il resto. L’ha proposta Giuseppe De Martino, pastaio “grandi firme” con il suo Pastificio dei Campi (la pasta preferita dai grandi chef) che parla del grano foggiano in questi termini: «Questa è la Borgogna del grano italiano, un po’ come la Francia per i suoi rinomati vini. E’ un grano di qualità e quando c’è la possibilità di immettere ricchezza nella filiera, si riescono ad ammortizzare anche le stagioni cattive». 

La tradizionale «festa del raccolto» del Molino Vita a Casalvecchio di Puglia ha fornito l’occasione per una riflessione a 360 gradi su produzione e qualità, quote di mercato e importazioni estere. «Noi maciniamo 5mila quintali al giorno – dice Nicola De Vita, storico mugnaio – lavoriamo con grandi e piccoli gruppi della pasta made in Italy. Ma sempre all’insegna della qualità: seguendo questa scia potremmo dedicarci tra qualche anno a una produzione esclusivamente di nicchia. Anzi, ci stiamo già provando».

L’intesa consolidata con il pastificio di Gragnano fa dell’opificio nei Monti Dauni un piccolo laboratorio nel quale sperimentare la via nuova del grano foggiano. Da queste parti non è più così peregrina l’idea di lanciare sul mercato, con un’etichetta dedicata, un prodotto che riporti fin dal nome l’origine della materia prima. «Il raccolto – dice Di Martino – è come un parto. La gestazione dura più o meno nove mesi, il grano di queste zone ha un sapore unico: la presenza del molino intorno ai campi contribuisce a preservarne il sapore».  

Pillole di ottimismo alla vigilia di una stagione ancora una volta difficile. Il caldo scoppiato già a marzo ha fatto spigare le piantine, riducendone il raccolto. E’ aumentato però il valore proteico e la qualità: pensiamo allora a come monetizzare meglio questa opportunità. Proviamo ad azzardare: se l’ottimo grano canadese, turco/russo, kazaco si miscela bene con quello italiano per fare pasta di qualità, perchè allora non immaginare una graduale ricollocazione del grano tipico foggiano verso l’alta gamma? 

 

I commenti sono chiusi.