Auguri a Gianni Pirazzini, capitano libero e coraggioso. La bandiera epica del calcio foggiano garrisce ancor oggi a distanza di 44 anni dall’ultima partita allo Zaccheria (Foggia-Cagliari 0-2 finì per lui al 71’ con una sonora espulsione, arbitro Michelotti) e che a questo punto mai potrà essere ammainata. Alla festa dei suoi 80 anni c’è stata una partecipazione sincera e appassionata di una città intera, anche se non ci sono stati né suoni di tromba, striscioni e cori da stadio come si converrebbe a un campione della popolarità sportiva perchè oggi la misurazione di certi fenomeni non avviene più per strada ma bisogna consultare il rullo di Facebook. Un giocatore d’altri tempi, Gianni Pirazzini, perfettamente calato nei suoi tempi. Ma per quanto l’uomo appartenga alla sua generazione – quella del boom economico e della 500 sotto casa – il ciuffo biondo che ancor oggi gli cade sulla fronte riporta idealmente all’iconografia del «libero» (ruolo oggi scomparso) e capitano senza paura, agli anni delle grandi sfide rossonere, quando lo straripante pubblico dello Zaccheria si entusiasmava in piedi sulle curve di tubi Innocenti (la gradinata in cemento armato arrivò solo nel 1975) quando il Foggia batteva il Milan di Rivera e per una salvezza nella massima serie alla penultima giornata.
Partite ripassate alla memoria dei cinquantenni di oggi grazie alle foto d’epoca, le stesse che aiutano i più giovani a capire chi fosse il Capitano e infatti Pirazzini è l’eroe del calcio rossonero di tutte le generazioni. I tifosi della Curva Nord l’hanno issato su un bandierone, l’immagine di Gianni Pirazzini d’ora in poi sarà l’emblema anche della curva e un tutt’uno con le sensazioni che sprigionano i colori rossoneri.
Dopotutto il mito del grande capitano non nasce dall’oggi al domani, si stratifica nei dodici e passa campionati vissuti nella nobiltà del calcio italiano, a innervare una carriera sorprendente e strepitosa (quattro anni di A, otto in B). Una figura dell’indomito combattente che si consolida nell’immagine postuma quando Pirazzini, appese ormai le scarpette al chiodo, volle rimanere vicino al suo Foggia (fu anche direttore sportivo e dirigente) senza però esserne mai appieno ricambiato dalle società che si susseguirono negli anni.
Eppure Pirazzini fu un privilegiato, a giudicare poi dalle stagioni tormentate che seguirono. Trovatene un’altra di gloria rossonera così abituata a calcare i campi della massima serie o al massimo della cadetteria, tra tanta serie C che poi ne seguì (e ance oggi…).
Il Capitano non tirava mai la gamba, guidava lui il manipolo dei ribelli, idealmente incarnava l’orgoglio di una città che cominciava a scoprirsi importante proprio per mezzo del calcio. Se anche ce ne fosse un altro di Pirazzini a guidare oggi le aspirazioni rossonere, non sarebbe più il tempo né ce ne sarebbero le condizioni. Le bandiere oggi fanno sorridere. Pirazzini forse sacrificò la sua carriera di successo per vivere i momenti più esaltanti della sua avventura calcistica con il Foggia. Ma nel calcio anni Settanta era in buona compagnia, nel trend dei Rivera, Riva, Mazzola. E poi Gianni a Foggia conobbe moglie e un grande presidente come Antonio Fesce, mise su casa, famiglia. Fu un patto d’amore che dura tuttora. Romantico e sognatore Pirazzini, una storia di vita che andrebbe raccontata ai ragazzi.
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Gianni Pirazzini ricevuto a palazzo di città dalla sindaca Maria Aida Episcopo e l’assessore allo Sport Domenico Di Molfetta