Quei mecenati della porta accanto

Tutti i guai cominciarono da quel sostantivo: mecenati. Un aggettivo travolto dal sostantivo. Gli imprenditori (anonimi) che finanziano un’opera (ancora da autorizzare) considerati automaticamente dei mecenati. Ovvero “munifici protettori di studiosi e artisti”. Sarà pur vero, ma siamo su ben altro genere di latitudini: al massimo i “mecenati” di cui sopra si sarebbero limitati a tirar fuori un po’ di soldi ciascuno per pagare i 250mila euro necessari a installare i “Cuori pulsanti” dell’artista Felice Limosani. C’è chi dice 20-30mila euro a testa. Nulla da disprezzare. Ma nessuna munifica elargizione a sfondo di garanzia, tutela o peggio protezione dell’afflato artistico, ammesso che finanziare un’opera a Foggia possa assumere questo significato.

L’ingegner Pippo Cavaliere, protagonista di tante battaglie sociali, è indignato ed è tra i pochi ad alzare la voce (in buona compagnia di alcuni notisti, tra questi il nostro decano Enrico Ciccarelli): «Era invece molto qualificante: la circostanza che alcuni operatori economici, resisi disponibili a supportare l’iniziativa dell’artista, avessero deciso di non figurare, in quanto una donazione o beneficenza che sia, si fa in silenzio, il resto rientra nell’arte dell’apparire e dell’ostentazione, il resto è “palcoscenico”». 

Giusto, un caso che andrebbe segnalato come un esempio di civismo imprenditoriale: lo slancio degli operatori al fianco della propria città. Ma saremmo a Topolonia o Paperopoli, il mondo dei nostri fumetti di gioventù. In un’altra città senza retropensieri (a trovarne…) forse sarebbe andata esattamente così. In un’epoca in cui non si può più star tranquilli nemmeno guardando in faccia il proprio funzionario di banca, il cittadino si sentirebbe più garantito e confortato (ben prima dell’artista) se almeno riuscisse a guardarlo in faccia il proprio interlocutore. Qui siamo invece al remake dei “Soliti sospetti”, montato sui silenzi cocciuti fino a crescere come una montagna. Chi sono? Cosa vorranno? E perchè lo fanno? 

Già, perchè? La domanda capitale. Allenati a galleggiare in sotterfugi e pettegolezzi di basso conio – una passeggiata dentro il palazzo comunale e di molti uffici pubblici è sempre istruttiva – i cittadini foggiani si sono imbattuti un bel giorno a dover constatare l’esistenza del concetto di “società mafiosa”. E qui non è il caso di scomodare il commissariamento del primo capoluogo di provincia pugliese per registrare una sorta di involuzione del pensiero. Basterebbe ascoltare qualche convegno, quelli in cui si favoleggia della città dalle “grandi potenzialità però inespresse” (che in genere esprimono i luoghi comuni più triti e ritriti) per accorgersi che non abbiamo ancora capito niente.

 Sarà capitato a molti ascoltare discorsi del tipo: «Dopo aver avuto tanto, è arrivato il momento di far qualcosa per la mia terra…». E lo dicono con l’enfasi del benefattore, si sentono a pieno titolo tra coloro che oggi possono “far qualcosa”. Ammettendo così implicitamente – ma senza rendersene conto – che sul piano comunicativo un’ammissione di questo tipo cancella le buone (eventuali) intenzioni di cui sopra.

Di “Cuori pulsanti” ce ne sarebbe davvero bisogno. Avremmo bisogno di esempi belli e edificanti, di elevarci da certe tristi congetture, di pensare in grande. E questo lo ottiene soltanto chi ha la fortuna di “respirare” cultura in tutte le sue forme: dall’aria che tira, ai discorsi che ascoltiamo. Qualcuno dovrebbe dare il buon esempio: l’impressione è che il riserbo dei «mecenati muti» vada invece a sbattere, ancora una volta, verso la cupezza e il pressappochismo di ben note pratiche cittadino. Forse stavolta l’avranno fatto in buona fede, ma sarebbe ancor più tragico.   

 

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