«E’ un problema culturale», dice il ministro Schillaci. E non c’è dubbio che sia così. Ma le aggressioni in ospedale, al pronto soccorso piuttosto che in un reparto di degenza (il 60% dei casi denunciati in tutta Italia), nascono anche da un livello di incomprensione fra personale sanitario e paziente che non si credeva possibile fino a qualche decennio fa. Ed è forse questo il dato più inquietante. Un tempo la diagnosi medica era sentenza di Cassazione per il paziente. Oggi non più. L’informazione social molto spesso erudisce i saperi di tutti noi, depista i più sprovveduti, qualche volta incrocia le umane incertezze dei camici bianchi, specie dei più giovani.
Secondo quanti hanno analizzato il fenomeno delle continue violenze ai danni di chi ci dovrebbe curare, vi sarebbe soprattutto un problema di empatia alla base: mi fido di quel medico nella misura in cui so di potermi fidare di lui, perchè lo conosco, ne apprezzo le qualità, ci ha già preso un’altra volta. E così sia.
Nel “nuovo” rapporto medico-paziente, tutto da decifrare, dunque non c’è solo un deficit culturale da colmare. Forse basterebbe che riprendessimo a parlarci, come si faceva una volta con il vecchio medico condotto, per riacquistare la reciproca fiducia perduta. Senza per questo ripiegare su una sfera di esemplificazione oggi non più ammissibile, nell’epoca dei medici robot e dell’intelligenza artificiale. Ma allora cosa intendiamo con «umanizzazione delle cure»?
La vera rivoluzione sarebbe quella di sforzarsi di trovare il giusto mix tra modernità e tradizione. Non è da tutti, certo. Ci vorrebbero le professionalità giuste per farlo: prendiamo i medici con trent’anni di carriera alle spalle, ancora in servizio, attenti ai cambiamenti e pronti a cogliere gli stimoli dell’innovazione. Sarebbe forse l’operazione più intelligente e meno dispendiosa per le casse pubbliche. Stiamo solo sognando?
La sanità foggiana è diventata il simbolo di una visione pericolosamente distopica. Partendo dalla brutale aggressione del 4 settembre 2024 in Chirurgia toracica al policlinico Riuniti (medici e infermieri barricati dietro la porta per sfuggire alla rabbia dei parenti di Natasha, 22enne, morta sotto i ferri) la Federazione nazionale degli Ordini dei medici (FNOMCeO) ha voluto a Foggia la giornata nazionale contro le violenze in ambito sanitario.
La risposta delle istituzioni a questo andazzo è stata finora prevalentemente repressiva: «Adesso si va in galera, chi aggredisce il personale sanitario deve pensarci due volte», sottolinea sbrigativamente il sottosegretario Gemmato. Davanti al pronto soccorso del policlinico, così come in altre strutture ospedaliere, si pensa a istituire la figura dell’infermiere abile nelle public relations, per favorire il dialogo con il pubblico e stemperare le tensioni. Figura autorizzata a ricevere informazioni dagli operatori sanitari dall’interno ed a riferire ai parenti in sala d’attesa in tempo reale, o quasi: licenza abbastanza rischiosa se non si dispone di un’abile scala di argomenti, valori oltre che di conoscenze medico-scientifiche.
E’ comunque il primo passo, la ripresa del dialogo davanti al pronto soccorso può essere un filtro di tanti codici bianchi e verdi, ad esempio. Che in altri tempi si fermavano dal medico di base. Riattivare la medicina di base, provare a incentivarla, la lotta alla violenza passa soprattutto da qui. Non dalla «galera».
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FOTO SIMBOLO. Medici e infermieri barricati in ospedale a Foggia il 4 settembre 2024