Sembrano destinate ad asciugarsi in fretta le lacrime per Christian e Birka, i bambini di 2 e 4 anni arsi nel rogo divampato venerdì mattina nel campo abusivo di Stornara, una delle tante bidonville che cospargono la provincia di Foggia, terra di agricoltura, di immigrati e di spaventosa sottovalutazione. Lunedì il prefetto di Foggia, Carmine Esposito, coordinerà un comitato interistituzionale convocato sull’onda dell’emotività e del clamore mediatico suscitato dalla tragedia dei due fratellini bulgari, sorpresi nel sonno nella loro povera baracca di cartone bruciata si dice a causa di una stufetta alimentata da corrente elettrica di frodo. Una tragedia divenuta drammatica consuetudine a pochi chilometri dalle nostre città, in questa specie di terra di confine tra Bielorussia e Polonia che è diventata la Capitanata. Con la differenza che nel cuore dell’Europa si combatte anche una battaglia politica sulle spalle dei migranti, mentre nel Foggiano le moltitudini di disperati in cerca di un lavoro nelle campagne arrivano e stazionano da decenni nell’indifferenza generale.
Trovare una soluzione a un problema che ha assunto proporzioni gigantesche, a furia di ignorarlo anno dopo anno, sarà quasi impossibile. Già il fatto che il vertice istituzionale sia stato convocato dopo il weekend, rende l’idea del livello di urgenza assegnato a quella che è una vera e proprio emergenza umanitaria e sociale per la comunità foggiana. Così il sacrificio dei due bambini risulterà ancora una volta vano, così come furono vane le morti per incendi analoghi avvenute in tutti gli altri ghetti sparsi nel Foggiano, piccoli e grandi agglomerati di miseria e emarginazione che nessuno ormai riesce più a censire considerata la velocità in cui spuntano. In questo scenario diventa velleitario anche l’ambizioso progetto ministeriale proposto dall’ex prefetto di Foggia (oggi a Padova), Raffaele Grassi, 3,5 milioni di euro già stanziati due anni fa per costruire case decenti e togliere dall’immondizia i migranti del ghetto di Mezzanone. Un piano peraltro pomposamente annunciato il 24 maggio scorso, ma ancora desolatamente al palo «a causa dell’emergenza Covid» che giustifica ormai ogni stallo amministrativo.
Organizzare i migranti, censire le loro presenze, regolamentare i flussi sulla base delle richieste di manodopera delle imprese agricole è certamente un’operazione faticosa e complessa, di non facile attuazione. Forse per questo viene puntualmente rinviata. Ma a furia di infilare la polvere sotto il tappeto finiremo per ritrovarci in una provincia che da culla dell’agricoltura intensiva, sta diventando una gigantesca macchia del degrado e del disordine. Questione sottovalutata a più livelli. Dalla Regione, intervenuta solo per riportare alla legalità il centro di accoglienza di Casa Sankara (300 ospiti), ma senza senza strutturare una politica di risanamento complessiva; ai sindaci resi impotenti dalla mancanza di risorse economiche per intervenire nei territori di pertinenza e comunque privi di quella tensione politico-istituzionale che avrebbe dovuto spingerli a battere i pugni sul tavolo; fino al governo che non ha mai preso di petto la situazione, permettendo centinaia di occupazioni di suolo pubblico e girando lo sguardo dall’altra parte.